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Una vita di calcio

 Il calcio è una presenza costante nella mia vita. Lo trovo nella mia storia passata (anche nella storia prima di me), presente e futura.
La mia storia con il calcio inizia prima di me, dicevo.
Nonno Liborio, che ho perso quando avevo quattro anni (purtroppo), era un giovane e brillante sarto, scampato ai campi di concentramento in Germania e Albania. Liborio, era a Torino quel 4 maggio del 1949. Liborio ha pianto quel giorno e quelli a seguire, perché ha perso non solo la sua squadra del cuore ma un cliente eccezionale: Valentino Mazzola. Andava a casa sua, prendeva le misure per i suoi elegantissimi abiti, giocava con i bambini e poi creava i suoi meravigliosi modelli.
Poi c’era nonno Bernardo, maniscalco e tifoso del Milan. Fu lui a convertire al tifo calcistico un garzone di barbiere (oggi il tifoso del Milan più famoso di Gravina, la mia città natale). La scena fu epica, Bernardo che va a farsi la barba direttamente dalla bottega, ancora con il viso annerito dal suo faticoso lavoro. Il garzone inizia ma sbaglia, taglia il viso di mio nonno, dopo non ricorda più nulla: “vedevo solo le mazzate di tuo nonno arrabbiato e il suo volto rossonero, diventai del Milan! Fu il giorno della mia conversione!”.
I miei nonni amavano il calcio, era l’unico svago in una vita fatta di lavoro sette giorni su sette, di artigianato appassionato.
Poi è arrivato mio padre, e i suoi quattro fratelli. E ricordo la mia infanzia, a nanna, mentre li ascolto tifare nell’altra camera durante le partite di coppa. Tutti milanisti, come il loro papà. Allora i padri erano diversi da quelli di oggi e spesso la passione calcistica era l’unico vero legame affettivo.
E mi ricordo il sabato trascorso con mio fratello, Bernardo anche lui, e mio padre al Milan Club “Nereo Rocco“, tra tavoli di biliardo, partite a carte e analisi calcistiche. Noi amavamo: le caramelle, il frigobar e le parolacce. La mia passione per le parolacce nasce lì e al campo sportivo di Gravina, dove la domenica andavamo tutti e tre a guardare il Gravina fare su e giù tra Promozione ed Eccellenza.
Poi sono arrivati i mondiali ’90, i primi che ricordo bene, le lacrime, la passione.
Nel ’98 il trasferimento a Milano, la prima partita a San Siro e le cinghiate del Milan al Bari..
Nel 2001 l’arrivo di mio fratello a Milano e il primo abbonamento allo stadio. Ci andavamo in moto ed era l’unica cosa che facevamo insieme, per il resto della settimana quasi non ci vedevamo. Di nuovo un rapporto affettivo costruito intorno al calcio.
Nel 2007 il grande amore, l’incontro con mio marito.
Ho trovato l’amore e ho ritrovato il Toro, che si era perso nella nebbia 58 anni prima.
Qualcosa legava la mia vita al Toro, e così ho ricominciato la mia vita dove si era interrotta l’avventura di mio nonno: a Torino.
E io il Toro l’ho sposato, ho sposato un uomo impregnato di Toro, che vive il tifo come tutti i veri tifosi del Toro: è un fatto culturale, un diverso e stupendo approccio alla vita.
Published inL'angolo delle riflessioni

3 Comments

  1. Bello questo post!
    Mio nonno Renato, classe ’22, era un grande tifoso del Torino, e quando l’aereo è caduto a Superga, è corso là in moto per piangere…

  2. mammaatorino mammaatorino

    Che dire…a casa nostra il Toro scorre nelle vene. Mio nonno tifava Torino senza condizioni, a casa hanno pianto quando la squadra si schianto su Superga. I nostri amici vivono e respirano Toro. Hai ragione, si tratta di un fatto culturale, che supera persino il semplice tifo. Un caro amico a casa sua ha battezzato persino una stanza: “Sala Toro” 🙂

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