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Il mare pendolare (ricordi di una bambina pugliese)

Stamattina leggo su Facebook la status di un’amica romana:
“Siamo conglobati in un gruppo familiare che ha preso 4 ombrelloni. I due capi branco hanno magliette della tifoseria daalazzio. La signora più sobria ha una geisha tatuata su mezza schiena e Crissia non vuole andare a giocare caanimatrisce. 
Aiuto”
Le ho chiesto un video su Instagram, che già la descrizione mi ha fatto sbellicare.
Poi è successa una cosa che mi capita spesso. Sono arrivati i ricordi, i ricordi lontani lontani di quando potevo avere 5/6 anni. Quei ricordi che vagano tra sogno e realtà e diventano mitici. Quei ricordi che sai che tu sei così perché li hai vissuti.
Il gruppo familiare raccontato dalla mia amica mi ricorda tanto il mio, cambia solo l’accento.
Mio padre ha quattro fratelli e due sorelle, sono in sette soltanto loro. Aggiungiamo mogli, mariti, fidanzate e fidanzate (quando ero piccola alcuni dei miei zii erano solo dei ragazzini con la fissa per i Pooh), e i primi bambini, ell’epoca eravamo 4 cugini, poi saremmo diventati una quindicina.
Si partiva da Gravina in direzione Metaponto con le macchine cariche di:

  • pasta al forno calda calda avvolta nelle coperte che così non si raffreddava;
  • chilate di carne da grigliare nell’area pic-nic;
  • polpette di uova e carciofi e uova e zucchine (mia madre ne ha sempre prodotte una quantità industriale per queste occasioni);
  • anguria da ficcare sul bagnasaciuga per il motivo inverso a quello delle coperte sulla pasta al forno;
  • borse-frigo cariche di ogni bevanda, che avremmo potuto aprire un chiringuito sulla spiaggia.
Si partiva dicevo, ma si facevano pochi metri. Perché il primo obiettivo non era il mare, ma quelle 6/7 ruote di focaccia pugliese, quella “alla chianga”, che sarebbero state la nostra colazione dopo il primo bagno.
Eravamo tanti e rumorosi, sì perché non smetterò di ripeterlo nella mia famiglia il tono di voce ha due livelli: alto e molto alto, e io ad esempio non sono skillata per parlare a bassa voce, cosa che il mio sabaudo marito patisce particolarmente.
Io del mare in sé non ricordo quasi nulla, mentre ricordo tutto quel cibo e gli zii che grigliano noncuranti della calura, ricordo la pineta sul mare e i tavoli di legno imbanditi, ricordo le risate e le litigate, le parolacce che a noi piccoli facevano ridere un sacco anche se poi non potevamo ripeterle.
In questo periodo sono successe un po’ di cose che mi hanno imposto di ricordare da dove vengo e ho ricordato anche quello che spesso mi dice la mia mamma: “diffida della gente che non si ricorda da dove viene”.
Ho una particolare avversione per i fighetti dell’ultim’ora, da noi si chiamano “pezzenti arricchiti”, per quelli che addirittura si impongono di adottare l’accento del luogo in cui sono emigrati (il mio ormai è una schifezza chiunque mi ascolti), per quelli che hanno trascorso le vacanze come me da bambini e adesso menano il torrone con l’eleganza il bon-ton quasi schiaffeggiando quotidianamente la famiglia d’origine.
Ora io non dico che una persona non debba evolversi e cambiare crescendo, affinando i propri gusti e seguendo le proprie inclinazioni. Ma ogni tanto guardatevi indietro e ricordatevi da dove venite, che non è una roba brutta!

 

Published inL'angolo delle riflessioni

2 Comments

  1. Bisogna essere orgogliosi delle proprie origini.
    Io quando parlo di me puntualizzo sempre che mio papà è veneto, mia mamma bergamasca, ma x molti anni ho vissuto a milano e ora abito in montagna….
    Mia mamma aveva 10 tra fratelli e sorelle, le ns riunioni non erano per nulla silenziose e finivano sempre cantando a squarciagola canzoni degli alpini. Che bei ricordi

  2. Diffida da chi non ricorda da dove vine, ma quanto è vero?

    Mio padre è come te, settato per parlare con il megafono in bocca 🙂

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