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Fino a che punto?

Quella da poco trascorsa è stata una settimana davvero particolare.

Mentre partecipavo a #donnexdonne ricevevo non poche “mazzate” su questo tema.
Il lavoro è un punto fermo della mia vita, ma anche un cruccio.
E in questi giorni mi domando:
  • fino a che punto bisogna accettare insulti pesanti dai capi?
  • fino a che punto si può sopportare che il proprio lavoro venga percepito solo quando sei in sede, anche se da casa lavori fino a mezzanotte?
  • fino a che punto bisogna dire sempre sì anche alle richieste più assurde, pensando che così verrà riconosciuta la propria professionalità?
  • fino a che punto bisogna lavorare con passione a dei progetti che sai già in partenza saranno cassati?
In una fase economica di gara al ribasso, su compensi e stipendi, come si fa ad affermare con forza il valore del proprio lavoro?
Inutile dire che noi donne nella gara al ribasso primeggiamo, non posso parlare in generale ma in tutti i posti in cui ho lavorato era ed è così.
Si lavora tanto, per quattro soldi, e senza uno straccio di soddisfazione, un complimento ogni tanto. E allora la motivazione si trova solo nella passione per il proprio lavoro o addirittura solo nel culto del lavoro che ti è stato instillato da mamma e papà fin da bimba.
Ma quando bisogna dire basta a tutto ciò ed alzare la testa?
Un figlio da mantenere, un mutuo da pagare, le spese di tutti i giorni possono essere un’arma di ricatto per chi ci paga poco e male?
Lo so, è un post pieno di domande. Ma magari farsi tutte queste domande senza procedere sempre nel solito grigiore è già un piccolo passo in avanti.
Published inL'angolo delle riflessioni

20 Comments

  1. Non e’ accettabile e basta. Passiamo piu’ della meta’ della vita al lavoro, ci dobbiamo ricavare qualcosa di positivo, siano soddisfazioni, crescita, stipendio o qualsiasi altra variabile che valga di piu’ per te, ognuno ha le sue.
    Ho lavorato all’estero molto tempo e t’assicuro che questo e’ un problema italiano.
    Non so’ se e’ una opzione plausibile, ma considera l’opzione estero dove puoi avere un lavoro retribuito dignitosamente, avere una buona qualita’ della vita e pensare al futuro. Lo so’, non e’ un’opzione per tutti, ma e’ importante sapere che come funziona in Italia non e’ la regola, ma l’eccezione.
    L’alternativa e’ iniziare a dire dei No belli sonanti. Prima o poi s’abituano.
    In bocca al lupo!

  2. Anonymous Anonymous

    Eh… il ricatto. Anche psicologico del “lavori da casa, quindi vali meno (perché non posso controllarti)” lo conosco bene. Soprattutto a MI. Ma se mi dici che anche qui a TO è uguale… Bisogna essere speranzosi e pensare che la cosa più importante è la famiglia. Che, nei limiti del possibile (mutuo, bollette, etc permettendo), viene prima di tutto. Un baciotto da Alice

  3. L’opzione è estero è difficile quando hai già una famiglia, ma non si sa mai.
    Per ora è più fattibile l’opzione di piazzare dei bei NO quando ci vogliono.

  4. Ma ciao Alice!
    MI o TO l’abisso culturale del lavoro legato ad un posto fisico è diffuso e ormai a mio avviso inaccettabile nell’era degli smartphone, dei tablet, dei net e notebook e del cloud computing 🙁

  5. Anonymous Anonymous

    Hai assssssolutamente ragione (inaccettabile). L’opzione estero io proprio non riesco a contemplarla: sarà per i legami che ho qui, e soprattutto, perché amo stare in Italia (a TO in particolare). In questo periodo storico e con questo malcostume occorre stringere i denti ma anche combattere, scendere in piazza per protestare e dire NO. Cominciare a ribellarsi tutti. Forse i datori di lavoro cambieranno se tutti a poco a poco prendiamo più coraggio. La dignità umana è la cosa più imporatnte e preziosa che abbiamo: se ce la calpestano rischiamo di appassire noi e chi ci sta vicino. Alice

  6. è inaccettabile..l’opzione estero se hai una famiglia non è delle più semplic..come se ne esce?? davvero non saprei..

  7. “la motivazione si trova solo nella passione per il proprio lavoro o addirittura solo nel culto del lavoro che ti è stato instillato da mamma e papà fin da bimba”: hai ragione, spesso capita così.
    Però sei sicura che mettendo dei paletti (ma assolutamente rigidi!) le cose non possano cambiare? Mi rendo conto di essere utopista (però io lo faccio anche nella pratica), ma io propongo sempre di optare per la sincerità. Quindi, se dicono/fanno qualcosa che non va, rispondi subito per le rime…

  8. È appena successo Adriana. Appena fatto, però dalle mie parti c’è un detto “a lavare la capa all’asino si perde tempo, acqua e sapone”.
    Nonostante ciò sto cercando quotidianamente di affermare il valore del mio lavoro e del mio tempo. La questione soldi è invece argomento non pervenuto. Sigh

  9. non ci instillano il culto del lavoro, ma l’idea che noi donne dobbiamo accettare tutto, sempre in nome della famiglia….

  10. Per quel che mi riguarda non è stato così, a me e mio fratello in casa sono state date le stesse identiche opportunità e finché si è trattato di studiare abbiamo sempre avuto gli stessi identici risultati nelle stesse identiche scuole.
    Poi è arrivato il fantastico mondo del lavoro… devo finire la storia?

  11. Owl Owl

    Non ti posso essere molto d’aiuto, perchè queste domande me le sto ponendo anch’io da un po’ di tempo a questa parte.
    Lavoro sottopagato, passione e senso del dovere sfruttati ai massimi livelli.
    Tra colleghi la solidarietà è tanta, ma non fruttuosa.
    Nel senso che se la collega mi da una pacca sulla spalla e mi dice che mi capisce, perchè siamo entrambe sfruttate, non mi aiuta se poi continua a sottometersi invece di dire no insieme a me.
    Non c’è giudizio in queste mie parole. Capisco che è difficile dirlo quel no e iniziare ad alzare la testa.
    Mah, commento che non porta da nessuna parte purtroppo, volevo solo dirti che capisco bene lo sconforto.

  12. Comunque con il capo che insulta, sia pesantemente o leggermente, tocca tagliare corto e subito o denunciarlo. Basterebbe iniziare a registrarlo con il telefonino e minacciare di denunicarlo, a volte va bene anche quello.

  13. @Owl non è vero che il tuo commento è infruttuoso. Hai centrato il punto! Magari piano piano ci organizziamo!

  14. @Mammasterdam io non sono d’accordissimo con denunce è registrazioni. Si tratterebbe di robe episodiche e forti. Penso invece che bisognerebbe lavorare piano piano sull’aspetto culturale di certi comportamenti. Le aziende con pochi soldi sono piene di donne. Chissà come mai!

  15. Maria Michela, io capisco un pochetto l’intervento di mammamsterdam perche’ anche io, come lei, vivo in una cultura in cui il “non accettabile” significa proprio questo, non e’ socialmente accettabile, e’, infatti, illegale -ergo uno fa valere i propri diritti, e la roba episodica e forte e’ magari quello che serve ad altre nella stessa situazione per darsi una mossa e sbloccarsi. Io sono molto fondamentalista in questa cosa, lo riconosco, ma credo fermamente che ogni volta che una di noi dice si e abbassa il capo, dice si per tutte le altre che vengono dopo di noi, ed e’ un peso che non so se mi sentirei di portare, spero non mi capiti mai di dover decidere.

  16. E’ che mi convince di più una lenta ed inesorabile operazione di coinvolgimento delle colleghe, che come me in passato, spesso si comportano con i datori di lavoro 8uomini o donne che siano) come quelle mogli che subiscono ogni sorta di violenza da parte dei mariti, ma li difendono a spada tratta.
    Mi rendo conto del paragone un po’ forte ma non mi viene in mente altro.

  17. Sei proprio sicura che la solidarieta’ tra donne risolvera’ il tutto?
    Secondo me e’ un’utopia a cui ci piace pensare, ma nella realta’ non funziona.
    Funzionano di piu’ i “no” e l’acquisizione del rispetto che ci si merita e mettere i paletti come singolo, e ovviamente se lo fanno anche gli altri. Ma ho visto in passato situazioni in cui colleghe mi capivano, ma non e’ mai cambiato niente. Me ne sono andata a testa alta, perche’ la dignita’ non e’ in vendita e neppure materia di trattativa. Pero’ sono stata l’unica, e guardandomi indietro chi mi capiva, e’ ancora li’, nella stessa situazione.

  18. @Bellalì come la conosco bene questa storia! Però in un paio di occasioni, il mio no è servito anche ad altre che si sono ritrovate davanti alla possibilità di un’alternativa! 🙂

  19. se consentite, un pensiero maschile a queste serissime e fondate vostre riflessioni che ci riguardano tutti. Perché la questione mi appare grande, non solo di genere, in quanto ci passa l’Italia. Premetto che non sono solo osservatore esterno più o meno interessato. Ho una figlia che stimo e con figlio, e credo che parlerebbe esattamente come voi.
    Intanto la prevalente eccellenza della donna credo che derivi anche dal fatto che la mediocrità al femminile non ha “mercato” se non protetta. Il maschile, e parlo per me, la mediocrità la vende all’ingrosso. Perché tuttora è uno Stato e società maschile la nostra.
    Che fare, se può avere al riguardo un’opinione maschile. Credo che protestare non serva a molto. Da solo. Ve lo lasceranno fare. La donna cristiana ha protestato inutilmente per 2000 anni finché non è arrivata Costituzione e Lavoro anche per lei. Serve forse più una Legislazione nazionale normativa e sociale coerente e leale ai sogni ed esigenze anche vostri di Donne. Che smetta di “allevare” panda. E questa credo verrà solo da un ingresso femminile in elettorale, parlamentare, governativo ed ecc. Dentro un patto di genere ben negoziato. Forse mi sbaglio. Ma il momento è quanto mai opportuno. Il Potere maschile italiano, quello vero, ha paura. Ha paura della sua Caporetto economico finanziaria in atto. Il momento è perfetto perché Donne e Giovanissimi scendano in campo con grande potere a decidere l’esito. Da questo comunque credo dipenda l’Italia. Anche di noi Uomini che abbiamo fatto disastro e non solo in questo. Scusate se mi sono permesso. E grazie. Ma come in tutto, credo si perda o si vinca assieme.
    mario staffaroni

  20. “Ma come in tutto, credo si perda o si vinca assieme.”
    Concordo,
    Michela

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