La provocazione, per sua natura è imprecisa, il viceministro ha aggiunto la goffaggine di suo.
La provocazione del viceministro ha dato invece la stura a una serie di pensieri che faccio e che spesso condivido offline ed online, sulla base delle esperienze personali e di tutti quelli a cui voglio bene.
Martone evidentemente, e goffamente ripeto, si riferiva ad una categoria di studenti, ma gli studenti sono diversi e di categorie ce ne sono tante e ovviamente variano a seconda dei filtri mentali che ognuno di noi ha.
Ecco le mie:
1. Regular season: gente che fa il 3+2 in tre anni più due, senza infamia né lode, facendo con fatica e impegno il proprio dovere. Categoria chiaramente inappuntabile, gioia di mamma e papà ma decisamente noiosa, proprio come lo sono stata io negli anni dell’università (laureata in 4 anni, ma due palle così e la netta sensazione di non aver capito cosa volessi davvero dalla vita);
2. Super student: quelli un po’ mostri che fanno il 3+2 in un due anni più uno. No comment.
3. Eroi: quelli che fanno il 3+2 in tre anni più due ma nel frattempo hanno anche lavorato per pagarsi gli studi e hanno studiato di notte. Guadagnano certamente la mia stima e un meno simpatico esaurimento nervoso.
3. Eroi umani: quelli che lavorano e si laureano, ovviamente dilatando i tempi. Tanta stima anche per loro.
4. Cazzeggiatori indefessi: quelli che non si laureano mai, o ci mettono quei dieci anni, ma non hanno nessuna scusa. Non sono stati in coma 5 anni, non hanno mantenuto 3 figli, non hanno sopperito con il lavoro allo scandalo delle scarse borse di studio. Semplicemente vivono tra un aperitivo e l’altro, dormendo fino a mezzodì e vivendo di notte come dei novelli vampiri succhiasangue di mamma e papà. Eccoli, li ho trovati viceministro! Sono loro gli sfigati! E, come tutti gli sfigati del mondo, sono quelli che credono di essere dei gran fighi, e a quarantanni, ancora in discoteca con i capelli bianchi e un’orda di bimbiminkia intorno, credono di essere strafighi.
E poi c’è una categoria che mi sta molto a cuore e a cui vorrei parlare con il cuore:
Gli studenti sofferenti. Quelli che vivono l’università con una fatica che può diventare anche fatica di vivere nei casi estremi. Quelli che sviluppano vere e proprie patologie psicofisiche a causa del muro insormontabile degli esami. Quelli che sono brillanti, intelligenti e preparati ma si sentono morire all’idea di essere giudicati.
Ecco io ieri quando ho letto le parole di Martone ho pensato a loro e al dolore che deve aver provocato un’affermazione così superficiale.
Ho vissuto per tre anni in un collegio universitario e ho convissuto con tutte le categorie sopra citate, ma gli studenti sofferenti erano quelli che più mi coinvolgevano. Ho visto sguardi pieni di ansia e angoscia, ho visto gente con lo stomaco rovinato dalla paura e ho visto queste persone non trovare la comprensione di nessuno, nemmeno della famiglia.
E a loro vorrei dire: l’università non è tutto, dopo la laurea non c’è niente di niente, lo assicuro!
Se il percorso di studi ordinario diventa un problema, anche grave, mollate! Fregatevene del giudizio degli altri! Salvatevi! Nella vita si possono fare tantissime cose che non prevedono una laurea e, a dire il vero, c’è anche un mare di attività per cui si richiede pretestuosamente una laurea.
Non importa se mancano 20 esami o 2, lasciate! Cercate di capitalizzare quanto appreso e andate avanti.
Solo ad una cosa non bisogna mai rinunciare: il desiderio di conoscere, la curiosità, in poche parole la cultura.
“Studiate per non farvi prendere in giro” diceva sempre a noi studenti il mio professore di Economia Aziendale all’ITC.
hai moltissima ragione.
moltissima.
e il sistema decisamente non aiuta.
non crescerò mai i miei figli con il DOVERE della laurea.
nè li manterrò mai fino a 30 anni all’università mentre fanno le “apericene”.
e riguardo il mondo poilitico in generale è che i notri ministri e deputati dovrebbero immergersi un po’ nel mondo reale, di cui non hanno la minima idea, prima di giudicare.
meraviglioso, io so che sono quella che sono perché oltre all’università c’era altro: lavoro, letture, cinema, teatro, scrittura. Mica cazzi, risponderei al ministro! E mi sono laureata un anno dopo perché le borse di studio all’estero, ben sudate, in Italia hanno contatto come un lecca-lecca.
Valentina
Twitter: MRShokking
laureata noiosa 3+2 ma anche lavoratrice part-time e fuorisede…quindi nella catgoria…bho!
sei stata bravissima, comunque!! =)
Grazie a tutte, questo post come mi ha scritto un’amica mi è uscito da “testa, pancia, cuore e gonadi…”
solo una cosa sugli studenti sofferenti. ne ho conosciuti pochi, pochissimi, ma quelli che ho conosciuto spesso mi tiravano fuori le sberle dalle mani. perché certo che arriva il momento in cui se gli vuoi bene gli dici “molla, vai via, c’è tutto un mondo fuori, che te ne frega di avere una laurea che poi magari neanche userai”, ma quelli che ho conosciuto io hanno continuato imperterriti a soffrire e anzi a crogiolarsi nel loro dolore. con le scuse più disparate e disperate, dalla delusione alla famiglia alla sfida da vincere, insomma tutto ma mollare mai.
bada, io non considero un limite il fatto di aver paura di essere giudicati, ci si può lavorare sopra, se si vuole, superandola, la paura paralizzante, è qui che sta l’intelligenza. quello che mi fa impazzire di alcuni studenti sofferenti è l’accettazione passiva non solo del dolore ma anche dell’ineluttabilità dello stesso, come se fosse scritto che il traguardo deve essere per forza quello e per forza conseguito con dolore.
dal mio più profondo essere epicurea no, questo proprio non lo comprendo. ciò detto, il ministro è stato goffo.
Giuliana, credo che spesso non si sappia neanche di avere delle alternative e se si è in uno stato di prostrazione psicofisica è difficile anche solo vederle.
E poi probabilmente ne hai conosciuti pochi perché questa è ancora una cosa vissuta con vergogna e quindi da nascondere.
Ritengo di essere un’esempio di coloro i quali hanno “mollato” preventivamente l’università e vorrei condividere la mia esperienza.
Dopo il diploma di liceo linguistico sognavo una laurea in lettere antiche e una carriera come insegnante sull’onda entusiastica del doposcuola, ma mi è bastata una settimana di frequenza all’università per capire che quel mondo non era fatto per me e che non mi andava di trascorrere 5 o più anni in un mondo nel quale non si è altro che numeri perfettamente anonimi senza quel rapporto e calore umano che ritango imprescindibile per insegnanti e studenti.
Non me la sento di continuare così, di fare la bella vita facendo finta di studiare e continuando a sucare soldi a mamma e papà con la promessa di una laurea che di fatto non arriverà o arriverà chissà quando…
Mi viene proposto di provare a lavorare in un panificio e accetto: la vita di notte è dura, il lavoro pesante così come gli orari e le parole “festa” o “ponte” non si sa nemmeno cosa siano, eppure dopo una settimana di lavoro capisco che il mio futuro e nell’arte bianca. Non mi vergogno per niente della scelta fatta e non mi sento di certo inferiore o sfigato solo perchè la laurea non ce l’ho.
La laurea, così come il diploma, è un percorso che deve portare a una conclusione che si traduce in una realizzazione personale, per poter dire “Ok, sono stato in grado di arrivare fino a qui…ho concluso con successo un percorso”, un percorso talmente personale che nessuno può giudicare se non noi stessi…
L’accademia fine a se stessa serve solo a nutrire bilanci di aziende perennemente in perdita endemica, per mantenere competenze che altrove sarebbero sacrificate a favore di efficenza produttiva e concretezza industriale. Universitá come immalzamento dello status quo, non pseudo-garanzia di una situazione parassitaria (anche del corpo docente). Campa cavallo…