
È passata quasi una settimana dagli attentati di Parigi. Ho letto di tutto e di più e io stessa sui social ho scritto di tutto e di più. Probabilmente troppo.
Il mio secondo pensiero, subito dopo quello per le vittime e prima di quello rivolto ai miei bambini, è andato agli amichetti dei miei figli. Compagni di scuola e di giochi.
Viviamo in un quartiere decisamente multietnico e l’integrazione non è un gioco da ragazzi. Le mamme si dividono in gruppi in base alla provenienza e spesso lo fanno anche i bambini, per abitudine. Ma poi si ricordano soprattutto di essere bambini e di avere come bisogno primario quello di giocare con qualcuno e si mescolano, nonostante gli adulti.
Nell’asilo del piccolo e alla materna del grande noi italiani siamo in netta minoranza ma le cose vanno bene. Nessuno impone nulla a nessuno e il massimo del disagio sono i bambini particolarmente monelli, ma fanno a turno e non dipende certo da colore o religione.
Quelli nella foto sono i miei “Ringo Boys”, li chiamo così e tra genitori ridiamo tantissimo quando andiamo in gelateria perché il bianco prende il cioccolato fondente e il nero prende il fior di latte (sono meravigliosi!).
Ecco secondo me l’unica via per combattere i terroristi e chi vende loro le armi è questa qui: dobbiamo fidarci dei bambini, di quando si dicono “sai, io sono fatto di cioccolato!” “e allora io sono fatto di panna!”. Di quando si menano come tutti i bambini del mondo indipendentemente dal fatto di chiamarsi Mohamed o Ernesto, di quando il mio biondissimo dueenne guarda con interesse incontenibile i ricci indomabili del suo amichetto Blessed.
E allora il mio secondo pensiero sono stati quei bambini, per forza. Perché il mio terrore è quello che qualche genitore mio connazionale parli ai suoi bambini di “bastardi islamici” o altro e cominci a tirare su dei muri invisibili e pericolosi che non fanno altro che coltivare nuova carne da macello. Basta andare a guardare da dove arrivano i terroristi di nuova generazione.
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