Da una decina di giorni ormai, ma i segnali si erano già visti nei mesi precedenti, si è rotta l’etichettatrice.
Qualcuno prova ad aggiustarla, a reinserire le vecchie etichette con dei font un po’ vintage e sbiaditi, qualcuno manovra l’etichettatrice con foga, come se funzionasse ancora.
A me di solito capita che se mi si rompe un aggeggio di cancelleria faccio senza, mi arrangio, mi riorganizzo diversamente. Non ho la spillatrice? Vado di graffette. Mi manca lo scotch? Ci sono i fantastici “apri e chiudi” dei fazzoletti di carta.
Ma sono fatta così da sempre, mi ricordo quando nel giro di due settimane abbandonai Milano per trasferirmi a Torino: nuova città, nuovo lavoro, nuova famiglia. Mi ricordo mio marito, allora fidanzato, alla fine del mio primo giorno di lavoro “ma come è possibile? Sei tranquilla come se fosse una giornata qualsiasi!”
E che a me i cambiamenti piacciono, li vedo sempre in positivo e se c’è una cosa che mi irrita profondamente è guardarmi indietro come se vivessi una storia a bivi di Topolino. Se avessi fatto questo… Se avessi scelto quel lavoro… Se non avessi preso quella decisione. Se, se, se.
Gli etichettatori senza etichettatrice sono stravolti, sconvolti. Soprattutto perché in giro c’è gente difficile da etichettare, perché stanno scoprendo che gli amici li sceglievano solo se provvisti di etichetta giusta e adesso si sono risvegliati con delle relazioni senza etichetta e questo fa paura.
“Come posso stimare quella persona? Come faccio a stimarla se non trovo l’etichetta?” e allora scelgono la via più facile: mettono l’etichetta che piace meno, la peggiore in assoluto e via. Si tranquillizzano solo così.
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