Era il mese di giugno di circa 8 anni fa. Avevo appena compiuto 30 anni e io e mio marito avevamo deciso che era il momento di avere un bambino. Iniziammo a provare e io dissi al mio compagno “ti voglio bene e desidero tanto un bambino, ma se non riusciamo ti dico già che non voglio ricorrere alla fecondazione assistita. Non posso pensare a quel che dovrei affrontare!”.
Le mie erano soltanto parole. La verità è che ho avuto la fortuna di diventare madre senza dover affrontare il tema della fecondazione assistita o quello dell’adozione. I miei figli sono arrivati quasi subito e non ci ho più pensato.
Fino a qualche giorno fa…
Quando Mariantonietta Barbara, cara amica ed editrice della Lazy Book, mi ha chiesto di leggere Diario per mio figlio e di incontrare l’autrice, Silvestra Sorbera. Ho accettato e ho scoperto tante cose:
- ho scoperto che le mie paure circa l’iter, anzi gli iter, della procreazione medicalmente assistita (PMA), erano fondatissime;
- ho scoperto che l’attesa accomuna tutte le madri, in qualunque modo si arrivi a diventare madre;
- ho scoperto e riscoperto il senso di impotenza dei padri al cospetto della gravidanza e;
- ho scoperto che la mia storia e quella di Silvestra hanno un momento in comune (lo scoprirà chi legge questo blog e leggerà poi il libro di Silvestra) e che l’autrice ha cercato di contattarmi in una fase critica della mia vita, non riuscendoci.
Ma adesso Silvestra ed io ci siamo incontrate, siamo diventate amiche, viviamo nella stessa città e siamo la prova che ad un certo punto due rette parallele possono incontrarsi.
Vi lascio qui la nostra prima chiacchierata, subito intensa e densa di emozioni.
E’ un romanzo autobiografico il tuo. Cosa ti ha spinto a metterti completamente a nudo?
Non avrei mai pensato di scriverlo, poi, già da mamma, mi sono imbattuta nel romanzo di Eleonora Mazzoni dal titolo “Le difettose” dove la protagonista racconta il suo percorso di fecondazione assistita che poi è il percorso dell’autrice. L’ho intervistata, abbiamo parlato di tante cose legate alla maternità, al coraggio di mettersi a nudo. Tempo dopo con la LazyBOOK, la mia casa editrice, abbiamo pubblicato “I fiori rubati. La seconda indagine del commissario Livia”, dove il tema della maternità “naturale” e “artificiale” si legavano all’interno di un giallo soft. Successivamente, leggendo anche le opinioni dei lettori , navigando su internet e leggendo la costante disinformazione, abbiamo deciso di parlarne. La protagonista del mio Diario si chiama Eleonora proprio per la prima ispiratrice, oltretutto per me la scrittura è un veicolo della vita reale e spesso mi aiuta a chiudere un cerchio, un evento della vita. Ecco diciamo che era arrivato il momento di scriverlo.
Racconti un percorso straziante che a me ha ispirato una sola parola. coraggio. Quanto ti sei sentita coraggiosa lungo la strada verso la maternità?
Più che coraggiosa all’inizio mi sono sentita impotente, poi inadeguata e solo dopo coraggiosa. Dopo, quando non si sa come trovi la forza di alzarti dal divano e andare dal medico, di farti le punture da sola, quando alla vista di un pancione o di un neonato non inizi più a tramare per la paura ma guardi quel bambino, perfettamente estraneo, con l’idea di farcela. L’idea di non poter avere figli non mi aveva mai sfiorato, anche perché, diciamolo, quando da piccoli chiediamo come nascono i bambini e come finiscono nella pancia della mamma, nessuno racconta le due possibilità di concepimento, nessuno ti prepara all’idea che può essere difficile. Quindi direi proprio che il coraggio è stata l’ultima delle emozioni, l’ultima cosa alla quale aggrapparsi per andare avanti.
Spesso nel libro citi le community online delle “mamme in potenza”. Le amiche lontane, mai incontrate di persona, sono state per te un aiuto fondamentale? Hai mai immaginato come sarebbe andata senza di loro?
Le amiche reali sono state fondamentali perché poi sono quelle che raccolgono i pezzi in maniera concreta ma anche le amiche virtuali hanno avuto la loro importanza. Il web ti permette di essere te stessa, di non vergognarti, di essere senza filtri, puoi chiedere aiuto (cosa che a me risulta sempre complicata) puoi chiedere: “Ma come si fa una puntura?”, puoi parlare di numero e dimensione dei follicoli ed essere capita, raccontare che non hai assolutamente voglia di avere rapporti perché gli ormoni ti hanno fatto guadagnare tre chili e non essere giudicata. Senza di loro sarebbe stato tutto più complicato.
I giudizi altrui ti hanno condizionata?
Prima no, poi si. Mi spiego. Quando dovevo affrontare tutto, quando abbiamo capito che avere figli non sarebbe stato semplice le domande classiche del tipo “Quando fai un figlio?” prima mi ferivano, prima della diagnosi, poi no, ero troppo presa da me, dal mio progetto, non avevo tempo per pensare al giudizio altrui, in realtà non mi è mai importato molto, i miei obbiettivi personali sono quasi sempre al primo posto rispetto al giudizio. Adesso, dopo la pubblicazione del libro si, mi sento un po’ sotto l’occhio del ciclone. Oltretutto questo romanzo è uscito dopo “Sono qui per l’amore” dove parlo di omosessualità femminile e, sentirsi dire “regala tuo figlio ad una lesbica” non è esaltante ma, come dice mio marito, significa che hanno letto i romanzi quindi: va bene.
Tuo marito ha accettato volentieri di scrivere la sua parte di storia a margine del romanzo? L’ho trovato di una dolcezza e di una delicatezza infinite.
Inizialmente era un po’ scettico, poi, dopo aver letto tutto il lavoro insieme, nel suo complesso, ha deciso di farlo. Quello che voglio, anzi volgiamo dire, è che i figli si fanno in due, in ogni caso e, nonostante l’idea globale è che “i figli sono delle mamme” vorrei dire che non è così. I padri amano quanto noi e come noi, soffrono, si alzano la notte, non partoriscono, è vero, ma questo non li rende genitori di serie B. Poi se hai un marito come il mio è tutto più facile.
Sii il primo a commentare